Introduzione

Consigli a cura di Valeria Raciti e Simona Zaccaria

sabato 9 gennaio 2010

Il cerchio dei tre fratelli (R. Denti)



Roberto Denti, Il cerchio dei tre fratelli, Mondadori, Milano, 1990


Tre fratelli, tre amici diversi, ma nel contempo uguali. Un bambino italiano, uno arabo e uno giapponese diventano fratelli adottivi e imparano a crescere nel rispetto della diversità, che può manifestarsi sottoforma di semplici abitudini differenti, ad esempio scattare numerose foto durante i viaggi:


«È semplice» rispose «non sempre uno ricorda quello che vede e allora la fotografia lo aiuta a rivedere tutti i particolari». «Ma tu sei sempre qui» osservarono Aziz e Cesare. «È vero, ma se un giorno cambiamo casa o andiamo in vacanza, io voglio avere la possibilità di rivedere tutto quello che desidero». «Allora è questa la ragione per cui tutti i giapponesi fotografano ogni cosa come matti». «Non sono matti…» disse Tsushima quasi offeso. «Semplicemente non vogliono dimenticare niente di quello che vedono. Un conto è raccontare quello che si è visto e un conto far vedere agli altri e rivedere per se stessi, anche dopo molti anni, le cose che ci hanno interessato e incuriosito».

Tuttavia le differenze si riscontrano anche in ambiti un po’ più delicati, come quello religioso, in cui i bambini si pongono molte domande:


Aziz ascoltò questo racconto molto pensieroso e disse che non capiva a cosa servissero tanti Dei quando il Dio è uno solo. I tre bambini difendevano le loro chiese dicendo che ciascuna era più bella e più importante delle altre, e non riuscivano a mettersi d’accordo. Non avendo argomenti validi finivano per litigare, così come quando Aziz e Tsushima chiedevano a Cesare di spiegare le parole che in televisione non capivano. […] «Qual è la religione vera?» domandò Cesare. «Quella nella quale ciascuno crede» rispose il papà […].

In tale contesto risulta fondamentale la presenza dei genitori i quali, grazie ai loro saggi e preziosi consigli, guidano i tre fratelli in questo affascinante percorso che porta alla scoperta dell’Altro. Scoprono con meraviglia le analogie e le differenze delle loro tre culture, raccontando ciascuno una fiaba tradizionale che spiega il modo in cui si scrive nel proprio Paese: in italiano da sinistra a destra, in arabo da destra a sinistra e in giapponese dall’alto verso il basso.


Tsushima chiese se c’erano altri modi di leggere e scrivere, ma la mamma disse che non lo sapeva, tranne il fatto che moltissimi popoli usavano alfabeti diversi, come ad esempio i russi che scrivono con l’alfabeto cirillico e gli indiani con quello devanagari. Gli egiziani antichi utilizzavano i geroglifici: per ogni parola c’era un segno diverso che cercava di imitare l’animale o l’oggetto che doveva rappresentare. Anche il cinese nasce da geroglifici e le cose si complicano quando anziché un animale o un oggetto si deve rappresentare una parola astratta, come bontà, giustizia, libertà, gioia, ecc.

Tutto ciò diventa un’importante occasione di confronto e di crescita culturale che spinge i tre fratelli a cercare e, dunque, ad inventare un sistema di scrittura univoco, capace di rappresentarli: la scrittura a cerchio, che lega tutti e tre i modi di scrivere e, in fondo, anche i loro modi di essere, esprimendo la forza dell’intenso e tenero affetto che li unisce.


Eppure un sistema nuovo e piacevole di scrivere in modo diverso da tutti quelli conosciuti dovevano pur trovarlo! […] Un giorno, per scherzo e perché si erano messi a pasticciare su un foglio già usato e nel quale lo spazio a disposizione era poco, decisero di scrivere una parola per ciascuno di una stessa frase. Così venne fuori, per caso, un’invenzione che soddisfece il desiderio di tutti e tre i fratelli: la scrittura a cerchio! 


                                                                                                                     Simona Zaccaria   

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